Dopo la mia seconda gravidanza mi sono trovata a decidere che cosa fare da grande. Arrivavo da un lavoro come grafica e web designer da dipendente, con un carico di conoscenze e di esperienze che partono nel lontano 2004. Lo ammetto, per un po’ ho pensato: “faccio qualcosa di completamente diverso. Mi reinvento”.
Bello sognare ad occhi aperti.
Sono subito tornata in carreggiata. Infatti, alle domande “Chi sono? Cosa sono capace di fare? Cosa mi piace fare?” la risposta è di una banalità folgorante: la grafica e web designer. Ovvero, quello che ho sempre fatto.
Ed ecco che si riparte, questa volta in piena autonomia, senza responsabili e senza colleghi nel senso tradizionale del termine, a lavorare, da casa.
In Italia, però, non basta decidere: ok, lavoro. Ci sono tutta una serie di aspetti da considerare e valutare attentamente. Per incominciare esistono forme contrattuali e di collaborazione che consentono di evitare il “nero” e di pagare le tasse, com’è giusto che venga fatto.
Le strade percorribili sono due: la collaborazione occasionale e il lavoro a progetto.
N.B. Questa non è una guida precisa né esauriente delle possibilità e delle modalità del lavoro autonomo, ma sono solo spunti e riflessioni sulla strada percorsa dalla sottoscritta.
Lavoratore autonomo con la collaborazione occasionale, in breve
È un rapporto di lavoro che lega un lavoratore autonomo e un datore di lavoro che non presenta caratteristiche di continuità. È consentita solo se la durata della collaborazione non supera dei livelli stabiliti dalla legge e se la retribuzione che percepisce il lavoratore non supera i €5.000 all’anno complessivi.
Nella pratica, i rapporti di lavoro che non hanno i caratteri del lavoro subordinato dovrebbero essere regolamentati come rapporti di collaborazioni a progetto (di cui parlo più sotto), ma la legge, in realtà, consente i contratti di collaborazione occasionale tutte le volte che non sussiste la continuità nel rapporto lavorativo col committente.
Non è previsto un contratto scritto che formalizzi il rapporto di lavoro, anche se, dal mio punto di vista, è consigliatissimo: scripta manent, no? Dal punto di vista fiscale, invece, il lavoratore autonomo occasionale emette una ricevuta: l’importo lordo pattuito è soggetto a ritenuta d’acconto per l’ammontare del 20%. Siccome con i numeri sono proprio una capra, ho chiesto a san Google se esiste un modo automatico per calcolare la ritenuta d’acconto a partire dal netto piuttosto che dal lordo del compenso ed ecco la soluzione ai miei mal di testa.
Qui viene spiegata per bene.
Lavoratore autonomo con il lavoro a progetto
Il lavoro a progetto o Co.Co.Pro. è una delle principali forme di lavoro autonomo. È uno strumento di lavoro flessibile col quale al lavoratore viene affidato un progetto particolare che ha una durata determinabile nel tempo e che deve consentire al lavoratore la sua autonomia (sebbene la coordinazione con il committente sia indispensabile).
In questo caso, è necessario un contratto tra datore di lavoro e collaboratore a progetto, contratto che deve comprendere dei dati ben precisi, tipo durata, descrizione del progetto, retribuzione, tempi, ecc. Inoltre, sebbene non sia una forma di lavoro subordinato e in caso di malattia o gravidanza non ci siano i benefici di cui godono normalmente i lavoratori dipendenti, questo tipo di rapporto di lavoro non esclude alcune tutele.
Per chiarirti le idee, puoi leggere questo testo più approfondito.
La differenza col lavoro subordinato qual è?
L’autonomia!
L’autonomia rispetto al datore di lavoro, con tutto ciò che ne consegue: libertà di organizzare il proprio tempo e il proprio lavoro, con gli oneri e le responsabilità delle proprie azioni.

E la differenza tra collaborazione occasionale e il lavoro a progetto?
La differenza fondamentale tra le due forme di collaborazione è la continuità.
In entrambi i casi si è lavoratori autonomi, ma la natura del progetto a cui si aderisce va a delineare il rapporto lavorativo col datore di lavoro: prestazione occasionale nel caso in cui la collaborazione sia spot, lavoro a progetto per la collaborazione continuativa.
E se tutto ciò non bastasse?
Se il carattere occasionale della mia prestazione dovesse venire a mancare, perché (evviva!) mi ritrovo ad avere molti datori di lavoro che richiedono in maniera continuativa interventi da parte mia, la scelta più corretta è quella di avviare un’attività autonoma a tutti gli effetti: lavorare in proprio con la partita Iva.
L’ho scritto, eh! ma mi fa sempre una paura pazzesca.
Questo è ciò che mi aspetta: un futuro con la partita iva.
E cosa ho scoperto al riguardo? Alla prossima puntata!
1 commento sull'articolo “Vita da freelance o, come si dice a casa mia, da lavoratore autonomo”