Leggo, leggo tanto, mi piace leggere. Questo periodo, lasciata da parte la narrativa, lo sto dedicando a testi più tecnici e vicini al mio mondo professionale.
Questo fine settimana mi sono letta uno di quei libri che avrei potuto scrivere io; non perché sia capace di scrivere, lungi da me! Ma per i contenuti del libro, per il tono tenuto dall’autrice, per lo scopo che persegue dalla prima all’ultima pagina: Due gradi e mezzo di separazione. Come il networking facilita la circolazione delle idee (e fa girare l’economia) (ed. Sperling & Kupfer).
Questo è quel tipo di libro che ogni singola persona nell’età della ragione dovrebbe leggere per tutta una serie di motivi:
- perché racconta come i social network non siano il demonio o la causa di ogni male su questa terra;
- perché consiglia come utilizzare la Rete e le sue molteplici potenzialità nel migliore dei modi. Che vuol dire, semplicemente, con senno e buona predisposizione. E con umiltà e voglia di imparare lo strumento se si incontrano dei limiti;
- perché non siamo tutti amici sui social (su Facebook in primis) e non dobbiamo esserlo per forza;
- perché le relazioni, prima che commerciali, devono essere genuine e nascere per interessi in comune;
- perché la Rete è il luogo della condivisione, dove non si cerca per forza qualcosa in cambio, ma dove si offre la propria conoscenza e si chiede una mano nel momento del bisogno. E, sì, magari la propria offerta d’aiuto può trasformarsi col tempo in un rapporto commerciale;
- perché la vita online e quella offline sono la stessa identica cosa, non si sostituiscono, ma completano. Anzi, la vita online ti arricchisce di informazioni, di relazioni, di opportunità.
Sono note sparse e in ordine casuale, ma di fondo, leggendo questo breve libro, ho avuto una sensazione continua, forte e chiara: Domitilla ha saputo trovare le giuste parole per spiegare il networking, non solo a chi si occupa di comunicazione online o a chi ha studiato sociologia e psicologia.
Questo è il libro che consiglierò d’ora in avanti quando mi parleranno di Facebook male della nostra società. O quando mi propineranno i pipponi su internet rovina-infanzia dei nostri figli.
Basta il buon senso, come per tutte le cose. Personalmente, rimango abbastanza perplesso quando vedo bambini di 5-6 anni -peraltro molto più svegli di me, per dire, in relazione all’età- attaccati ai tablet per ore (giocando, ovviamente), e cercherei di non distoglierli del tutto da attività più tradizionali. Pur sapendo che i tempi son cambiati: una volta, con 9-10 anni al pomeriggio uscivi in bici a giocare e tornavi dopo ore, oggi anche nei paesini è un po’ meno fattibile.
Alla fine quello che conta è l’educazione, i bambini formati in un certo modo difficilmente sbracheranno.
Perfetto, basta il buon senso. Non è sempre così scontato, però!
Sono la prima a consentire a mia figlia di giocare con aggeggi tecnologici e sarebbe strano se non lo facessi: sono la prima a maneggiarli. Il tutto deve avere, come dicevo, i giusti tempi e il giusto valore. Demonizzare la tecnologia perché c’è chi ne fa un uso scorretto… è questo su cui non riesco a soprassedere.
Comunque, sì, i bambini più svegli di me e di te sono i cosiddetti nativi digitali. Se ci pensi, noi abbiamo imparato a usare il telecomando da subito (per lo meno, da quando i nostri genitori ce l’hanno consentito), mia nonna aveva qualche difficoltà. Sarà un paragone banale, ma se ci pensi…
Il buon senso è la cosa meno scontata di tutte, mi sa. Il mio discorso di sopra può essere banale, ma è riferito soprattutto a casi -che ho visto- in cui il tablet (e le sue variabili di cui non mi azzardo a fare il nome visto che non ne ho nemmeno uno…e finora per lavoro non mi servono; non è che li demonizzi…è che son pigro, e poi mi fa un po’ senso vedere la gente perennemente con il tablet in mano, non sai mai se ti stanno ascoltando o meno e comunque diventa poi difficile non entrare nel vortice: si è sempre tentati dal rispondere o scrivere di continuo. Se da un lato i social e le nuove possibilità hanno aiutato un casino per ampliare o recuperare rapporti personali, dall’altro tendono a bruciarli anche in fretta…io son sempre convinto che sia il tempo a cementificare i rapporti. Troglodita al 100%…eh? ahhah) non è una delle possibilità, ma è il principale intrattenitore dei piccoli. Un conto è alternarlo a cose vetuste come il pacioccare con i pastelli e/o iniziare a prendere confidenza con i libri appositi (oltre ai giochi tradizionali), un conto è affidare totalmente lo svago dei pupi a ‘sti cosi (fino a qualche tempo fa la stessa funzione era malamente rappresentata dalla tv). Dipende molto, se non tutto, dalla famiglia.
PS: forse non dovrei dire nulla, non “tenendo famiglia”…
Telecomando? ora che ci penso, il fatto che io arrivi in clamoroso ritardo a fruire della tecnologia potrebbe derivare proprio da quello! il primo arrivato in casa mia è datato 1990, il videoregistratore a fine 1993…abbastanza tardi direi
Sai che non ricordo quando il telecomando è entrato in casa mia? Dovrei chiedere ai miei, magari hanno memoria dell’evento :-)
Comunque, il telecomando è stato il primo esempio a passarmi per la testa. Ci può essere il telefono o il cellulare. Oppure, indietro nel tempo, la radio (questa però non l’abbiamo provata, e meno male!)
Ricordo che guardavo i risultati dei mondiali del 90 sul televideo (qualcuno lo seguirà ancora????), mi pare che i miei avessero comprato la tv “moderna” in quel periodo. Ma l’altra “senza telecomando” ha proseguito imperterrita per altri 6/7 anni come seconda tv, fino a quando ha deciso di andare irrevocabilmente in pensione…
Evidentemente ogni generazione ha le sue difficoltà nell’avvicinarsi alle novità. Ai tempi non ho avuto problemi con il walkman (modernariato, ormai), d’altronde era la stessa prassi delle radio; la gestione dei nuovi tablet mi è ostica. Anche perché per ora mi son limitato a vedere qualcosa sugli iphone di amici, e alla seconda ditata sbagliata restituivo l’affare con il corredo di alcune espressioni pittoresche…
(avevo scritto due righe ieri ma non le ha prese…aggiungo altre amenità) Beh il walkman era facile da usare…Tale e quale alla radio mangianastri. A proposito, penso di essere stato uno degli ultimi ad avere l’autoradio con il mangianastri: comprai una Fiesta (ancora il modello vecchio) agli inizi del 2001 e le autoradio opzionali, a parte la più cara già dotata di cd, avevano ancora il mangianastri. Ho preparato cassette artigianali (mischioni della roba che mi piace, con un un curioso ritorno all’antico: nel senso che trasformavo degli mp3 -e non mi ricordo neanche più come…- per renderli tracce da trasferire sulla cassetta) sino alla fine del 2007! Manca solo di sostituire l’orologio da polso con una clessidra o una piccola meridiana…
Ahah! Ti vedo bene con la clessidra da polso :-)
È arrivato anche il commento precedente e da questi tuoi interventi ne traggo una cosa: telecomando, walk-man, tablet sono solo strumenti, lo riconoscerai. La vita è sempre vita sia che si guardi la tv, si ascolti la musica, si scriva uno stato di Facebook. Poi, certamente, c’è chi è più propenso a utilizzare uno strumento piuttosto che un altro, ma non è possibile farne nette distinzioni.
Così come dire: i genitori che abbandonano i figli ai tablet sono i genitori di ieri che lasciavano i bambini tutto il giorno davanti alla tv. Non demonizziamo lo strumento, ma l’approccio educativo semmai. La tv, così come il tablet, sono utili e favoriscono molte azioni e comunicazioni: il succo del mio post è questo.